Non ho mai avuto un interesse particolare
per gli Stati Uniti, un Paese che ho sempre ritenuto lontano, ma allo stesso
tempo vicino; un Paese con una storia troppo breve da poter meritare un lungo
viaggio.
Ho sempre pensato, inoltre, che prima o
poi mi sarebbe capitato di andarci, e non ho mai preso in considerazione gli
USA quando sceglievo una destinazione per un viaggio: ho sempre preferito
visitare quasi tutti i Paesi della vecchia Europa, e fare qualche divagazione
in Paesi come l'Egitto e il Marocco, piuttosto che destinare tempo e risorse
economiche verso gli States.
E quando ho voluto fare un lungo viaggio,
la scelta è caduta sul Nuovissimo Mondo, su Australia e Nuova Zelanda, che
hanno sempre suscitato la mia attenzione, sin da quando, bambino, amavo
trascorrere le ore a guardare il mappamondo e sognavo di andare nel posto più
lontano possibile, agli antipodi.
Alla fine il momento è arrivato: avevo
tante miglia in scadenza, i ragazzi sono cresciuti, e negli anni il mio
interesse per gli States è man mano aumentato. E poi quel "prima o poi mi
sarebbe capitato di andarci" non si era ancora mai avverato.
Ciascuno di noi ha un'opinione e dei
pregiudizi sui popoli; a me gli Americani non sono mai piaciuti più di tanto.
Hanno ancora la pena di morte, pensano di essere i padroni e i giudici del
mondo, mangiano male, sono un mix di razze e di popoli senza una vera identità,
pensano troppo ai soldi, agli affari, e ho sempre faticato a comprendere il
loro Inglese. Ho sempre ammirato, d'altro canto, la loro capacità di essere un
popolo unito, nonostante la loro giovane storia e nonostante il fatto che siano
una federazione di ben 50 Stati.
Ma viaggiare vuol dire anche e soprattutto
vedere cose che ci piacciono e non ci piacciono, verificare la fondatezza dei
propri pregiudizi, ed eventualmente rimuoverli o rafforzarli.
Ho deciso, nella costruzione del mio
itinerario di viaggio, durato quindici giorni, di dedicarmi solo ad una parte
degli Stati Uniti. E ho scelto la East Coast, la più antica, ma soprattutto la
parte di America in cui si trova New York.
E ho deciso, inoltre, di non partire da
New York, ma di iniziare il viaggio da Boston, di vedere qualche bellezza
naturale del New England (l'unica cosa che mi affascinava degli States, a
livello paesaggistico, erano i fari del Maine), e solo dopo qualche giorno sono
arrivato nella Grande Mela.
Vorrei evitare, in questo post, di stilare
un diario di viaggio, come è già avvenuto lo scorso anno, quando ho descritto,
senza poi completare l'opera, il
mio viaggio in Polonia, Repubblica Ceca e Germania Orientale. Preferisco,
oggi, dedicarmi alle impressioni e alle sensazioni, che però, inevitabilmente,
non sempre potranno essere dissociate dalla descrizione di alcuni dei luoghi
visitati.
Parto dall'arrivo (e scusate l'ossimoro).
Dopo il volo intercontinentale, da Roma a Boston, l'attesa all'"Immigration"
è defaticante. Avevo sentito dire di super controlli, di un colloquio con
l'ufficiale addetto al controllo dei passaporti, delle impronte digitali. Avevo
addirittura valutato l'idea di rifare il passaporto di mia figlia tredicenne,
che è un tantino cambiata rispetto alla foto del passaporto, del 2009.
Bisogna dire, innanzitutto, che a Boston
la fila si biforca: da una parte vanno coloro i quali non hanno mai messo piede
negli Stati Uniti, dall'altra coloro che ci sono già stati, e i cittadini
statunitensi e canadesi. Dopo una fila di un'ora e mezza, abbiamo incontrato
un'agente simpatica e disponibile, che ci ha fatto qualche domanda: ci ha
chiesto quale fosse il motivo del nostro soggiorno negli USA, quanto tempo
saremmo rimasti, e poco altro. Tutto sommato una cosa tranquilla; molto meno
dell'interrogatorio a cui pensavo di essere sottoposto. Hanno preso le impronte
digitali e ci hanno scattato una fotografia, a tutti tranne che a mia figlia,
minore di 14 anni. Subito dopo abbiamo recuperato i bagagli, già scaricati dal
nastro e ordinatamente riposti sul pavimento.
Oltre a questo, abbiamo passato altri tre
controlli di frontiera, visto che la divagazione alle Cascate del Niagara e poi
a Toronto (da cui siamo ripartiti verso l'Italia) ci ha portati anche in
Canada, con un veloce rientro negli USA attraverso la frontiera pedonale del
Raimbow Bridge, che collega le due sponde delle Cascate, e il successivo
ritorno in Canada.
Posso dire che i frontalieri canadesi, che
si accontentano del passaporto, senza ESTA, fanno molte più domande e sono
anche un po' più acidi nel porgerle. Ero convinto che passare la frontiera tra
i due Paesi del Nordamerica fosse poco più che una formalità, ma non è così.
Il viaggio tra New York e Niagara Falls
(lato canadese, visto che ne esiste una città omonima nel versante USA) lo
abbiamo fatto in pullman. E sapete come avviene il controllo dei passaporti? Il
pullman si ferma, il povero autista scarica tutte le valigie, che vengono
affidate ai passeggeri, i quali fanno la fila per fare il colloquio allo
sportello con i solerti frontalieri canadesi. Se solo uno dei passeggeri ha un
problema, come nel caso di una famiglia indonesiana presente nel nostro
pullman, in cui madre e figlio sono stati trattenuti e intervistati
singolarmente in un gabbiotto dedicato a casi problematici (non vi dico l'ansia
del padre e della figlia, lasciati passare senza problemi), bisogna aspettare.
E noi abbiamo aspettato un paio d'ore, fino a quando la situazione degli
indonesiani è stata definita. Nel frattempo, il povero autista ha nuovamente
caricato sul pullman tutti i bagagli.
Abbiamo riscontrato la stessa solerzia dei
canadesi, e una maggiore flessibilità degli statunitensi quando abbiamo passato
la frontiera pedonale (senza bagagli, giusto con la macchina fotografica e uno
zaino) di Raimbow Bridge. Veloce, giusto un paio di domande rivolte con un tono
molto tranquillo, dal lato USA. Un'ora dopo, al rientro nel versante canadese,
nuovo interrogatorio: dove abitate, cosa ci fate in Canada, quanto vi
tratterrete, da dove ripartirete, e via dicendo. Mi sono chiesto, fra l'altro,
come avvenga il "colloquio" con coloro i quali non parlino inglese o
francese.
Forse sono stato troppo prolisso, dopo
aver riletto questo racconto sui controlli avrei voluto sintetizzarlo, ma ho
pensato che possa essere utile, per coloro i quali non si siano mai recati
negli USA, e per i più curiosi, leggere qualcosa sui controlli di sicurezza.
Non vi nascondo che io ero abbastanza in ansia su questa cosa, invece l'unica
cosa seccante è la fila dopo il viaggio.
Tutto il resto, se non avete niente da
nascondere, fila liscio.
Vista la lunghezza di questo post, penso
proprio che scriverò un racconto a puntate, sperando di non annoiarvi!
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